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Buio a mezzogiorno - Arthur Koestler





lunedì 28 novembre 2011 legge Riccardo Stella
«Il sottoscritto N. S. Rubasciov, già membro del Comitato centrale del Partito, già commissario del Popolo, già comandante della II Divisione dell'Esercito Rivoluzionario, insignito dell'Ordine della Rivoluzione per Impavidità dinanzi al Nemico del Popolo, ha deciso, in considerazione dei motivi suddetti, di abbandonare definitivamente ogni atteggiamento d'opposizione e denunciare pubblicamente i suoi errori» «Mi riconosco colpevole di avere seguito impulsi sentimentali e, così facendo, d'essere incorso in contraddizioni con la necessità storica. Ho prestato orecchio ai lamenti dei sacrificati, rendendomi sordo agli argomenti comprovanti la necessità del loro sacrificio. Mi riconosco colpevole di avere posto il problema della colpevolezza e dell'innocenza più in alto di quello dell'utilità e del danno. Infine, mi riconosco colpevole d'avere preposto l'idea dell'uomo a quella dell'umanità...»

Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno, [1940], tr. it. di Giorgio Monicelli, Milano, Mondadori, 1946 (rist. 2003 Mediasat)
La porta della cella si chiuse con un colpo secco alle spalle di Rubasciov.

Egli restò appoggiato con le spalle alla porta per qualche secondo, e accese una sigaretta. […] sbadigliò, si tolse la giacchetta e si coricò sul giaciglio, avvolgendosi nella prima coperta. Aveva un gran sonno e, riflettendoci, giunse alla conclusione che ben difficilmente avrebbero cominciato a interrogarlo prima di tre o quattro giorni. […]

Un’ora prima, quando i due funzionari del Commissariato degli Interni martellavano sulla porta di Rubasciov per farsi aprire e arrestarlo, Rubasciov stava proprio sognando di essere arrestato.

I colpi alla porta si facevano sempre più forti e Rubasciov s'era sforzato di svegliarsi. […] Sognava, come sempre, che veniva picchiato alla porta e tre uomini stavano ritti là fuori, in attesa di arrestarlo. Li vedeva attraverso la porta chiusa, ritti sul pianerottolo, che picchiavano contro i battenti. Indossavano uniformi nuovissime, l’elegante divisa dei pretoriani della Dittatura germanica; sui berretti e sulla manica portavano il loro simbolo: la croce aggressivamente uncinata. […] Anche questa volta, per qualche secondo, perdurò questo stato quasi d'ipnosi, l'incertezza se la sua mano brancicante avrebbe toccato il bugliolo o il commutatore della lampada sul comodino. Poi la luce si accese abbagliante e la nebbia si dissolse. Rubasciov respirò profondamente parecchie volte e, come un convalescente, le mani incrociate sul petto, assaporò la deliziosa sensazione della libertà e della sicurezza. Si asciugò col lenzuolo la fronte e la zona di calvizie sulla nuca e ammiccò con rinnovata ironia al ritratto in tricromia del N. 1, il capo del Partito, ritratto appeso alla parete sopra il suo letto — e alla parete di tutte le stanze accanto, sopra e sotto la sua; a tutte le pareti del casamento, della città, dell’immenso Paese per il quale egli aveva combattuto e sofferto, e che ora lo aveva ripreso nel suo enorme grembo protettore. Rubasciov era completamente sveglio ora; ma i colpi alla sua porta continuavano.

[…]

Rubasciov sapeva d'essere in una cella d'isolamento e di dovervi restare fino al momento di venire fucilato. Si passò le dita fra i peli della corta barbetta aguzza, fumò il suo mozzicone di sigaretta e giacque immobile.

“Così sarò fucilato”, pensava Rubasciov. Battendo le palpebre, osservò i movimenti della punta del suo piede, che si levava verticalmente in fondo al letto. Si sentiva caldo, sicuro, stanchissimo; non gli sarebbe importato niente di sonnecchiare fino alla morte, purché lo avessero lasciato tranquillo al caldo sotto la coperta.


«La vecchia guardia è morta», ripeté e cercò di ricordarsi le facce. Ne rammentava solo qualcuna. Del primo Presidente dell’Internazionale, ch’era stato giustiziato come un traditore, riuscì solo a evocare un panciotto a quadretti sul ventre lievemente rotondeggiante. Non aveva mai portato bretelle, ma solo cinture di cuoio. Il successivo Primo ministro dello Stato rivoluzionario, giustiziato esso pure, si rosicchiava le unghie nei momenti di pericolo. “La storia vi riabiliterà”, pensò Rubasciov, senza troppa convinzione. “Che ne sa la Storia, del mangiucchiarsi le unghie?”. Egli fumava e ripensava ai morti, all’umiliazione che aveva preceduto la loro morte. Tuttavia, non riusciva a odiare il N. 1 come avrebbe dovuto. […]

Che cosa passava per il cervello del N. 1? “Il vecchio male”, pensò Rubasciov. “I rivoluzionari non dovrebbero pensare con la mente degli altri. […] «Mi fucileranno. I miei motivi non li interesseranno».

Rivedeva il giovane Riccardo col suo abito della festa, gli occhi infiammati: “Non puoi buttarmi ai cani, compagno...”. Rivide il piccolo, deforme Loewy: “C'è nessun altro che ha qualcosa da dire?”. Ce n'erano tanti e poi tanti che avevano qualcosa da dire. Perché il movimento era senza scrupoli: fluiva alla sua mèta, imperturbabile, e deponeva i corpi degli annegati nelle curve del suo corso. Chiunque non avesse seguito le sue tortuosità era ributtato sulla riva, perché questa era la sua legge. I motivi individuali non contavano per il movimento. Il Partito conosceva un solo delitto: l'allontanarsi dal corso prestabilito; e un solo castigo: la morte. Non c’era nulla di esaltato in essa: era la logica soluzione a divergenze politiche.

Primo interrogatorio.

Ivanov lasciò passare qualche secondo. Fumava e tracciava vaghi disegni con la matita sulla carta assorbente. Pareva voler cercare le parole più appropriate.

«Senti, Rubasciov», disse finalmente, «c'è una cosa che vorrei farti notare. Tu hai ora ripetutamente detto “voialtri”, alludendo allo Stato e al Partito in opposizione a “Io”, e cioè a Nicola Salmanovic Rubasciov. Per il pubblico sono necessari, naturalmente, un processo e una giustificazione legale. Per noi, quanto ti ho appena detto dovrebbe bastare.»

Rubasciov rifletté: era stato in un certo senso colto di sorpresa. Per un attimo fu come se Ivanov avesse toccato una corda armoniosa, alla quale la sua mente rispondeva spontaneamente. Tutto ciò in cui aveva creduto, per cui aveva combattuto e predicato da quarant’anni a quella parte s’abbatté sulla sua coscienza in un’onda irresistibile. L'individuo non era nulla, il Partito era tutto. […]

«Ma chi è questo “noi” nel cui nome tu oggi parli? Si sente la necessità di una nuova definizione. Ecco il punto.» […]

«In altre parole: tu sei convinto che “noi”, e cioè il Partito, lo Stato e, dietro, le masse, non rappresentino più gli interessi della Rivoluzione.» […]

«Le masse, lasciamole da parte», ripeté [Rubasciov]. «Tu non sai nulla di loro, come probabilmente non ne so nulla neppure io. Una volta, quando il grande “noi” esisteva ancora, noi le capivamo come nessuno le aveva mai capite prima. Eravamo penetrati nel loro fondo, lavoravamo nell’informe materia greggia della stessa storia... Ed ora avete riseppellito tutto quanto».Volete proprio sostenere che le masse ancora vi seguono? Altri usurpatori in Europa sostengono la stessa cosa con altrettanto diritto.”

“Quando hai elaborato questa opinione?”

“A poco a poco, in questi ultimi anni”, rispose Rubasciov.

“Non potresti essere più preciso? Un anno? Due? Tre anni?”

“Questa è una domanda stupida”, disse Rubasciov. “A che età sei diventato adulto?..”

“Ripeto la domanda”, insistette Ivanov e si chinò lievemente innanzi. “Da quanto tempo appartenevi all'opposizione organizzata?”

“Sai bene quanto me”, disse Rubasciov “che non ho mai fatto parte di nessuna organizzazione sovversiva.”

“Come credi”, rispose Ivanov. “Mi metti nella situazione antipatica di dover fare il burocrate. “Cominciamo dal 1933” disse.

“Affermazione della dittatura e distruzione del Partito proprio nel Paese dove la vittoria sembrava più vicina. Tu vi fosti mandato illegalmente, con il compito di rivedere i quadri e riorganizzare la base... Tre mesi dopo, sei stato arrestato. Due anni di prigione. Condotta esemplare, nulla può essere provato contro di te. Scarcerazione e ritorno trionfale... non erano passati quindici giorni, che tu chiedesti un'altra missione all'estero...”

Si chinò bruscamente innanzi, portando il volto vicinissimo a quello di Rubasciov: “Perché?” chiese, e la sua voce era dura e tagliente ora, per la prima volta. “Non ti sentivi a tuo agio qui, vero? Durante la tua assenza avevano avuto luogo dei cambiamenti, qui, che non incontravano la tua approvazione.…fosti nominato capo della nostra Delegazione commerciale nel B. Anche questa volta ti conducesti in modo esemplare. Ma sei mesi dopo che tu avevi preso questo posto, due dei tuoi più stretti collaboratori, tra cui la tua segretaria Arlova, dovettero essere richiamati sotto il sospetto di opposizione clandestina, sospetto che venne confermato dall'inchiesta. Tu non dicesti nulla.La Arlova ricorse a te per la propria discolpa. Date le circostanze, continuare a tacere sarebbe stato come confessarsi colpevole. Lo sapevi e tuttavia ti rifiutasti di fare delle dichiarazioni pubbliche fino a che il Partito non ti mandò un ultimatum. Solo allora, quando la tua testa era in pericolo, acconsentisti a fare una dichiarazione di fedeltà, che automaticamente fu la condanna dell'Arlova. Tu sai la sua sorte.”

Se qualcosa delle creature umane poteva sopravvivere alla distruzione, quella ragazza, Arlova, si trovava in qualche parte di quell'immenso vuoto, fissando ancora coi suoi buoni occhi bovini il compagno Rubasciov, ch'era stato il suo idolo e l'aveva mandata alla morte. “Ammetti ora apertamente d'avere avuto da anni la convinzione che noi rovinassimo la Rivoluzione; e nello stesso tempo neghi d'aver fatto parte dell'opposizione e d'avere complottato contro di noi. Credi proprio ch'io possa persuadermi che sei stato a guardarci con le mani in mano, mentre, secondo la tua convinzione, noi portavamo Paese e Partito alla rovina?...Vuoi proprio farmi credere che hai sacrificato l'Arlova e rinnegato quelli”, indicò col mento la macchia più chiara sulla parete, “solo per salvare la pelle?” Ti stai comportando come un bambino. Come un bambino romantico”, aggiunse. “Ora fabbricheremo insieme una graziosa confessioncella e per oggi avremo finito.”

“Nella confessione si leggerà”, disse, “che tu ammetti, dall'anno tale e tal'altro, d'avere appartenuto a questo e quel gruppo d'opposizione; ma che recisamente neghi di avere organizzato o progettato un assassinio; che, anzi, ti sei ritirato dal gruppo quando hai saputo i piani terroristici e criminali dell'opposizione.”

Per la prima volta durante tutto il colloquio, Rubasciov sorrise egli pure.

“Tu non tradisci nessuno con questa ammissione. Tutta la squadra fu arrestata gran tempo prima di te e una buona metà è già stata liquidata; lo sai anche tu.”

Ivanov ripete, con voce ancora più bassa, i nomi dei loro antichi amici.

“Li conoscevo bene quanto te”, continuò. “Ma devi concedermi che noi siamo così convinti che tu e loro avreste significato la fine della Rivoluzione come voi lo siete del contrario. Questo è il punto essenziale. Non possiamo permetterci di perderci in sottigliezze giuridiche. E tu ti ci perdevi, ai tuoi tempi?”




Diario di Rubasciov.

L'ultima verità è in penultima analisi sempre una menzogna. Colui che avrà avuto ragione alla fine, sembrerà sempre fallace e pericoloso prima di questo momento. Ma chi risulterà d'avere avuto ragione? Lo si saprà solo più tardi. In attesa egli e tenuto ad agire a credito e a vendere la sua anima al diavolo, nella speranza dell'assoluzione della storia.

Si dice che il N. 1 abbia il Principe di Machiavelli sempre a portata di mano…La politica può essere relativamente leale nei momenti di respiro della storia; alle sue svolte decisive non ve altra regola possibile che quella antica secondo la quale il fine giustifica i mezzi. Noi abbiamo introdotto un neo-machiavellismo in questo secolo… Siamo stati neomachiavellici in nome della ragione universale — questa e stata la nostra grandezza; —gli altri in nome di un romanticismo nazionale, questo é il loro anacronismo. Ecco perché saremo alla fine assolti dalla Storia; ma essi no...


La Storia ci ha insegnato che spesso la menzogna la serve meglio della verità; perché l'uomo é pigro e deve essere condotto per il deserto per quarant'anni prima d'ogni passo del suo sviluppo con minacce e promesse, con immaginari terrori e consolazioni immaginarie.

Sappiamo che la virtù non conta per la Storia e che i delitti rimangono impuniti; ma che ogni errore ha le sue conseguenze e si vendica fino alla settima generazione. Ci hanno paragonato alla Inquisizione, perché… abbiamo sempre sentito in noi tutto il peso della responsabilità della superindividualistica vita avvenire. Abbiamo assomigliato ai grandi Inquisitori in quanto abbiamo perseguitato il seme del male non solo nelle azioni, ma anche nei pensieri degli uomini. Non abbiamo ammesso nessun campo d'azione privato, neppure entro il cranio di un uomo. … Ho pensato e agito come dovevo; ho ucciso persone che amavo e dato potere ad altre che aborrivo. La Storia mi ha messo dove mi sono trovato; ho esaurito il credito che mi aveva concesso; se ho avuto ragione, non ho nulla di cui pentirmi; se ho sbagliato, pagherò.

Il N.l ha fede in se stesso, duro, lento, cupo, incrollabile. Il fatto è: non credo più nella mia infallibilità. Ecco perché sono perduto.






Rubasciov aveva sempre creduto di conoscersi abbastanza bene. Essendo senza pregiudizi morali, non si faceva illusioni sul fenomeno detto "prima persona singolare" … Aveva notato che quei processi, noti erroneamente come "monologhi", sono in realtà dei dialoghi di specie particolare; dialoghi in cui una delle parti resta silenziosa. Ora, tuttavia, sembrava a Rubasciov che la parte solitamente silenziosa parlasse di tanto in tanto, senza esserne sollecitata e senza alcun visibile pretesto; la sua voce sonava del tutto ignota a Rubasciov, che ascoltava sinceramente stupito e s'accorgeva che le sue labbra si movevano. … con le sue osservazioni finì col convincersi che c'era un componente del tutto tangibile in quella prima persona singolare, il quale, rimasto silenzioso in tutti quegli anni, ora aveva cominciato a parlare e con la ritrosia tipica del Partito a valorizzare la prima persona singolare, l'aveva battezzata "finzione grammaticale". … il regno della "finzione grammaticale" sembrava cominciare proprio là dove terminava la "conclusione logica".

“Tu potrai fare di me quel che vorrai” gli aveva detto l’Arlova, e questo egli aveva fatto. Perché avrebbe dovuto trattare se stesso con maggior considerazione? Morire in silenzio, scomparire nelle tenebre. E solo allora s’accorgeva che la sua decisione di accettare l’offerta di Ivanov era ben lungi dall’essere incrollabile come egli aveva creduto.

Questa notte si decidono dissidi politici.

Rubasciov non aveva mai assistito ad un'esecuzione. Non poteva immaginarsi come la stessa potesse apparire in normali circostanze, come elemento di un normale trantran. Sapeva vagamente che le esecuzioni avevano luogo nottetempo nelle cantine e che il condannato veniva ucciso da una pallottola nella nuca; ma ignorava i particolari. Nel Partito la morte non era un mistero… Era una conseguenza logica, un elemento di cui tener conto e dal carattere alquanto astratto.

“Bogrov, dell'opposizione.”

Le gambe gli s'erano fatte bruscamente come di piombo, a Rubasciov. …”Michele Bogrov, ex-marinaio della corazzata "Potemkin", comandante la flotta d'Oriente, latore del primo ordine rivoluzionario, condotto all'esecuzione.” S'asciugò il sudore dalla fronte, rovesciò lo stomaco nel secchio… Erano stati compagni di camera nell’esilio seguito dalla rivoluzione del 1905. Rubasciov gli aveva insegnato a leggere, a scrivere e i primi rudimenti della scienza della storia. Da allora, ovunque si fosse trovato, riceveva due volte all’anno una lettera manoscritta che si chiudeva immancabilmente con le parole: “Tuo compagno, fedele fino alla tomba”.

Il suono strascicato e quasi gemebondo s'avvicinava rapidamente e Rubasciov potè ora distinguere una specie di lamento, come quello di un fanciullo che pianga. “Rubasciov, Rubasciov.”

Che cosa avevano fatto a quel robusto marinaio per trargli di strozza quel gemito fanciullesco? L'Arlova aveva piagnucolato allo stesso modo quando l'avevano trascinata per il corridoio? Fino a quell'istante non aveva mai immaginato la morte dell'Arlova così particolareggiatamente, gli aveva lasciato un senso di profondo malessere, ma egli non aveva mai dubitato della rettitudine logica della propria condotta.

Il gemito di Bogrov spostava l'equilibrio dell'equazione logica. La visione delle gambe dell'Arlova con le scarpe dai tacchi altissimi trascinate per il corridoio sconvolgeva l'equilibrio matematico. L'elemento meno importante dell'equazione s'era sviluppato fino all'incommensurabile, all'assoluto; il gemito di Bogrov, il suono disumano della voce che aveva gridato il suo nome gli riempiva le orecchie; soffocava la voce sottile della ragione, la ricopriva come la schiuma ricopre il gorgogliar dell'uomo che affoga.




Dal diario. Poi Gletkin: le confessioni.

La somma di libertà individuale che un popolo può conquistare e conservare dipende dal grado della sua maturità politica.

La maturità delle masse posa sulla loro capacità di identificare i loro interessi. Questo, però, presuppone una certa comprensione del processo di produzione e di distribuzione dei beni. La capacità di un popolo a governarsi democraticamente è dunque proporzionata al grado della sua comprensione della struttura e del funzionamento di tutto l'organismo sociale

Ora, ogni progresso tecnico crea una nuova complicazione per l'organismo economico…ci vogliono a volte decine di anni, a volte intere generazioni perché il livello dì comprensione di un popolo si adatti gradualmente al mutato stato di cose, fino a recuperare la stessa capacità d'autogoverno, quale aveva già posseduta in un più basso livello dì civiltà.

La scoperta della macchina a vapore iniziò un periodo di rapidi progressi obiettivi, e, di conseguenza, di regresso politico soggettivo altrettanto rapido. L'era industriale è ancora giovane nella Storia, il divario è ancor grande fra la sua struttura economica estremamente complicata e la sua comprensione da parte delle masse. … Il sistema capitalistico crollerà prima ancora che le masse lo abbiano capito.

Quanto alla madrepatria della Rivoluzione, le masse vi sono governate dalle stesse leggi mentali di qualunque altro Paese, tuttavia, una forma democratica dì governo è impossibile, e la somma di libertà individuale che può essere accordata è ancora inferiore a quella degli altri Paesi. Questioni di orgoglio personale; pregiudizi, come ne esistono altrove, contro certe forme di abbassamento della propria personalità; sentimenti individuali di stanchezza, di disgusto e di vergogna: tutto ciò dev'essere sradicato, tagliato via senza esitazioni.


Quanti anni poteva avere quel Gletkin? Trentasei o trentasette al massimo; doveva avere partecipato alla Guerra Civile giovanissimo e avere assistito allo scoppio della Rivoluzione ancora ragazzo. Era la generazione che aveva cominciato a pensare dopo l’inondazione. Non aveva tradizioni, non ricordi che la legassero al vecchio mondo scomparso. Una generazione nata senza cordone ombelicale. E tuttavia aveva ragione dal suo punto di vista. Bisognava strappare quel cordone ombelicale, rinnegare l'ultimo vincolo che legava gli esseri umani alla vana concezione dell'onore e alla dignità ipocrita del vecchio mondo.

“So”, riprese Rubasciov, “che la mia aberrazione, se messa in atto, avrebbe rappresentato un pericolo mortale per la Rivoluzione. Ogni opposizione alle svolte decisive della Storia porta in sé il germe di una scissione nel Partito e quindi il germe della guerra civile. Debolezze umanitarie e democrazia liberale, quando le masse non sono mature, sono un suicidio per la Rivoluzione. … Mi riconosco colpevole di avere seguito impulsi sentimentali e, così facendo, d'essere incorso in contraddizioni con la necessità storica. Ho prestato orecchio ai lamenti dei sacrificati, rendendomi sordo agli argomenti comprovanti la necessità del loro sacrificio. Mi riconosco colpevole di avere posto il problema della colpevolezza e dell'innocenza più in alto di quello dell'utilità e del danno. Infine, mi riconosco colpevole d'avere preposto l'idea dell'uomo a quella dell'umanità.”

“Ripeto”, disse la voce di Gletkin, “le vostre precedenti dichiarazioni di pentimento avevano lo scopo di ingannare il Partito sulle vostre vere opinioni e di salvarvi la pelle.”

“L'ho già ammesso”, disse Rubasciov e pensò con rabbia impotente: "Naturalmente, quello che dici è la pura verità.”

“E dopo tutto ciò chiedete d'essere trattato con considerazione?” continuò la voce di Gletkin con la stessa brutale correttezza. “Osate ancora negare la vostra attività criminale? Dopo tutto ciò chiedete che vi si creda?”

Perfino lui, Rubasciov, cominciava a perdersi nel labirinto di menzogne calcolate e di finzioni dialettiche, nell'ombra crepuscolare tra la verità e l'inganno. La verità ultima indietreggiava sempre di un passo; visibile rimaneva soltanto la penultima bugia con la quale si doveva servirla. E a quali patetiche contorsioni, a quali balli di San Vito obbligava! Come gli sarebbe mai stato possibile convincere Gletkin che questa volta era proprio sincero, che era arrivato all’ultima stazione.


“Vi hanno mai regalato un orologio da bambino? …Io”, riprese Gletkin, con la sua voce fredda e uguale, “avevo sedici anni quando imparai che l'ora si divideva in sessanta minuti. Nel mio villaggio, quando i contadini dovevano recarsi in città, andavano alla stazione ferroviaria all'alba e si coricavano a dormire nella sala d'aspetto in attesa che il treno arrivasse, cosa che avveniva di solito a mezzogiorno, o addirittura in serata o la mattina dopo. Questi sono i contadini che ora lavorano nelle nostre fabbriche. Se non li licenziassimo e non li fucilassimo per qualsiasi lieve mancanza, tutto il Paese si arresterebbe, i contadini si butterebbero a dormire nei cortili delle fabbriche, l'erba spunterebbe fuor dei camini e tutto tornerebbe come prima. L'anno scorso, una delegazione femminile venne a visitarci da Manchester, in Inghilterra. Fu loro mostrato tutto, dopo di che scrissero articoli indignati, affermando che gli operai tessili di Manchester non avrebbero mai sopportato un trattamento simile. Ho letto che l'industria cotoniera a Manchester conta duecento anni. Ho anche letto quale era il trattamento dei lavoratori due secoli fa, quand'essa ebbe inizio. Ma, vedete, voi avete qualcosa in comune con loro: vi è stato regalato, da piccolo, un orologio... alle masse deve essere data per ogni processo difficile e complicato una spiegazione semplice, facilmente afferrabile. Se le si dice che i suoi operai sono eroi del lavoro, più bravi degli Americani e che ogni male viene solo dai sabotatori e dai malvagi, questo produce almeno qualche effetto. La verità è ciò che è utile al genere umano, la menzogna ciò che gli è dannoso. … Che Gesù dicesse o non dicesse il vero quando affermava d'essere il figlio di Dio e di una vergine, non offre alcun interesse a una persona intelligente. Dicono che la cosa abbia un valore simbolico, ma i contadini la prendono alla lettera. Noi abbiamo lo stesso diritto di inventare simboli utili, che i contadini prendano alla lettera.”

“Il cittadino Ivanov apparteneva, come voi, alla vecchia intellighentsia; conversando con lui si possono acquisire alcune nozioni storiche, sfuggite a chi non abbia seguito studi regolari. La differenza è che io cerco di usare queste notizie a favore del Partito, mentre il cittadino Ivanov era un cinico.”

La personalità di Gletkin aveva acquistato un tale potere su di lui che perfino i suoi trionfi si trasformavano in sconfitte. Massiccio e inespressivo, se ne stava seduto dietro la scrivania, brutale incarnazione dello Stato che doveva la sua stessa esistenza ai Rubasciov e agli Ivanov.

Quando Ivanov aveva usato gli stessi argomenti, c'era stata nella sua voce una sfumatura portata dalla rimembranza di un mondo ormai scomparso. Si può rinnegare la propria infanzia, ma non annullarla. I Gletkin non avevano nulla da cancellare erano nati senza cordone ombelicale, senza frivolezza, senza malinconia.

“Voi e i vostri amici avete creato una frattura nel Partito. Se il vostro pentimento è sincero, dovete aiutarci a sanare questa frattura. Come vi ho detto, è l’ultimo servizio che il Partito vi chiede. Il vostro compito è semplice, indorare ciò che è giusto, rendere l’opposizione spregevole. Questo è il semplice linguaggio che le masse comprendono.”

Nella morte la metafisica diventava reale… Che cosa aveva detto ai giudici? "Piego le ginocchia dinanzi al Paese, alle masse, al popolo tutto." E poi? Che cosa avevano avuto le masse, il popolo tutto? Da quarant'anni erano condotte attraverso il deserto, con minacce e promesse, ma dov'era la Terra Promessa?

Un sordo colpo gli martellò la nuca. I ricordi passavano attraverso di lui, come striature di nebbia sull'acqua. Fuori, qualcuno picchiava alla porta di casa, ma in quale paese si trovava? Ma quale ritratto stampato a colori era appeso sopra il suo letto e lo guardava? Una figura informe si chinò sopra di lui, e in nome di chi alzava la nera canna della pistola?

Un secondo colpo, rovinoso, gli s'abbatté sull'orecchio. Quindi tutto fu tranquillo. C'era ancora il mare col suo mormorio. Un'onda lo sollevò, lentamente. Veniva da un'immensa distanza e trascorse via placida, alzata di spalle dell'eternità.