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Don Chisciotte della Mancia - Miguel Cervantes





lunedì 09 maggio 2011 legge don Domenico Benin
Se rileggere un testo, letto ed amato in periodi diversi della vita, può farci ritrovare lo stesso piacere e meraviglia, può anche stupirci nel ritrovare aspetti che non avevamo colto o compreso fino in fondo.
Nella recente rilettura di don Chisciotte ho piacevolmente riscoperto lo stesso filo conduttore di utopie e sogni che hanno popolato la mia adolescenza.
La dicotomia costante tra realtà e sogno che caratterizza le avventure del romanzo mi ha portato a riflettere come ciò che appare eroico nel romanzo, appaia risibile nella realtà.
Così nei due protagonisti, don Chisciotte e Sancio Panza, l’apparente contrapposizione viene superata dal forte legame che c’è tra i due, e come accade nelle reali relazioni di autentica amicizia, l’uno è “l’alter ego” dell’altro, permettendoci di comprendere entrambi proprio attraverso la loro relazione.
Nel romanzo la funzione della pazzia di don Chisciotte più che ridicola, appare gioiosa, eroica e ideale; pur cedendo il posto alla saggezza e all’umanità, tutto diventa un girotondo allegro, confuso e divertente.
La “pazzia” si contrappone all’Istituzione, che opprime ed è al servizio solo di se stessa, diventa leggerezza di vivere: una gioia “universale” che si estende a tutta la società, libera finalmente da critiche e problemi e al servizio davvero dell’uomo.

Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Torino, Einaudi, 1994, trad Vittorio Bodini

Libro primo

Dal Capitolo secondo
Che tratta della prima uscita che il fantastico don Chisciotte fece dalla sua terra.
E così una mattina, senza comunicare ad anima viva le sue intenzioni e non visto da nessuno, avanti che facesse giorno, che era dei più caldi del mese di luglio, si armò di tutte le sue armi, salì su Ronzinante e messosi quello scarabocchio di celata, abbracciò lo scudo, afferrò la lancia e da una porta segreta del cortile uscì alla campagna tutto allegro e contento di vedere quant’era stato facile dar principio al suo lodevole intento. Ma non appena si vide in aperta campagna, lo assalì un pensiero terribile, che poco mancò non l’inducesse a abbandonare l’incominciata impresa; e fu che gli venne in mente che non era stato armato cavaliere, e che secondo la legge della cavalleria, non poteva né doveva prender le armi contro alcun cavaliere (….). Questi pensieri lo fecero titubare nel suo proposito; ma essendo la sua follia più forte di ogni altra ragione, risolse di farsi armar cavaliere dal primo che capitava, a imitazione di molti che avevano fatto così, come aveva letto nei libri che lo avevano ridotto a quel punto.

Dal Capitolo terzo
In cui si racconta in che buffa maniera si armò cavaliere don Chisciotte
Il locandiere, vedendo il suo cliente ai suoi piedi e udendo quei ragionamenti, stava a guardarlo sorpreso, senza saper che fare o che dirgli, e gli faceva insistenze perché s’alzasse, ma lui non voleva, finchè dovette dirgli che gli accordava il dono che chiedeva. -Non m’aspettavo di meno dalla vostra grande magnificenza, mio signore-rispose don Chisciotte-; e vi dico perciò che il dono che io vi ho chiesto e che la liberalità vostra mi ha accordato è che nel dì di domani dovrete armarmi cavaliere. (…) Il locandiere, che come s’è detto era una volpe vecchia e già nutriva qualche sospetto sulla mancanza di giudizio del suo cliente, quando sentì quei ragionamenti se ne convinse del tutto e per avere di che divertirsi per quella notte, decise di assecondarlo; gli disse perciò che era assai bene indirizzato in ciò che desiderava e chiedeva, e che tale aspirazione era propria e naturale nei nobili cavalieri quale egli sembrava, e come dimostrava il suo aspetto gagliardo; che anche lui, parimenti, negli anni della giovinezza s’era dato a quell’onorevole esercizio, andando per le varie parti del mondo in cerca d’avventure. (..) L’oste raccontò a quanti stavano nella locanda la follia del suo ospite, la vigilia d’armi e la investitura di cavaliere che s’aspettava. Si stupirono d’un così strano genere di pazzia e se l’andarono a guardare da lontano: lo videro in pacato atteggiamento, che a volte passeggiava, altre volte, appoggiato alla lancia, posava gli occhi sulle armi, e non li distoglieva da esse per un buon tratto. La notte era ormai alta, ma con tanto chiaro di luna che questa poteva competere con l’astro che le prestava la luce; di modo che tutto ciò che faceva il cavaliere novizio era visto da tutti. Ora a uno dei mulattieri venne in mente di andare a dar l’acqua alle bestie, ed era necessario per questo toglier l’armi di don Chisciotte che stavano sulla pila.
Vedendolo avvicinare, questi disse a alta voce:- O chiunque tu sia, temerario cavaliere, che osi toccar l’armi del più valoroso errante che mai cinse spada! Bada a quel che fai, e non toccarle, se non vuoi render la vita in pagamento al tuo ardire. Il mulattiere non si curò di questi discorsi ( e sarebbe stato meglio che se ne fosse curato, perché era come curarsi la salute), anzi, afferratele per le cinghie, le scaraventò lontano.
Vedendo ciò, don Chisciotte alzò gli occhi al cielo, (…) lasciò lo scudo e, alzata a due mani la lancia, diede con essa un colpo così forte in testa al mulattiere da stenderlo in terra malconcio, e se avesse seguitato con un altro non ci sarebbe più stato bisogno di medico che lo curasse. Fatto ciò, raccolse le sue armi e tornò a passeggiare con la stessa calma di prima.

Dal Capitolo settimo
Della seconda uscita del nostro buon cavaliere don Chisciotte della Mancia
(…) Uno dei rimedi che per il momento il barbiere e il curato proposero per il male del loro amico, fu di murargli e di chiudergli la stanza dove teneva i libri, di modo che, alzandosi, non li trovasse più (così eliminando la causa avrebbe potuto cessare l’effetto); e gli dovevano dire che un
incantatore s’era portato via tutto, stanza compresa. E così fu fatto sollecitamente. Di lì a due giorni don Chisciotte si alzò e la prima cosa che fece fu di andare a vedere i suoi libri, e non trovando più la stanza dove l’aveva lasciata, l’andava cercando di qua e di là. Giunto dove soleva esserci la porta, toccava con le mani, poi girava e rigirava gli occhi per ogni dove, senza dir parola; ma alla fine, dopo un bel po’ di tempo, domandò alla governante da che parte stava la stanza coi libri. La governante, che sapeva già quel che doveva rispondere, gli disse: - Che stanza? Che cosa va trovando? Non c’è più né stanza né libri in questa casa, perché si è portato via ogni cosa il diavolo in persona.
-Non era il diavolo- disse la nipote-, ma un incantatore (..)quando cercammo di vedere ciò che aveva fatto, non trovammo più un solo libro e nemmeno più la stanza; quello che ricordiamo è che quel vecchiaccio disse gridando prima di andarsene, che per l’inimicizia che portava al padrone di quei libri e di quella stanza, aveva fatto un danno alla casa, che poi si sarebbe visto. (…)
-Sì è vero- disse don Chisciotte- è un mago incantatore, mio gran nemico, che non mi può vedere perché per mezzo delle mie arti e dei suoi libri sa che con l’andar del tempo dovrò venire a battaglia con un cavaliere che lui protegge, e che debbo vincerlo, e lui non potrà farci niente, e per questo cerca di farmi tutti i dispetti che può; ma gliel’assicuro io che non potrei contrastare o impedire ciò che è disposto dal cielo.
-E chi ne dubita?- disse la nipote-. Ma a lei signor zio, chi glielo fa fare a impicciarsi in queste liti? Non è meglio che se ne stia tranquillo a casa sua, anziché andare in giro a cercar chimere,senza contare poi che molti vanno a far lana e tornano tosati?-
-Stai proprio fuori strada, nipote mia!- rispose don Chisciotte-.Prima che tosino me, avrò spennato e tirato ogni pelo della barba a quanti immaginassero di torcermi la punta di un capello.
Le due donne non vollero contraddirlo, perché già lo videro che avvampava di collera.

Dal Capitolo ottavo
Del successo riportato dal valoroso don Chisciotte nella spaventosa e inaudita avventura dei mulini a vento, con altri avvenimenti degni di felice ricordanza.
Mentre stavano così ragionando, si affacciarono sulla strada due frate dell’ordine di San Benedetto, che pareva andassero in groppa a due dromedari, tanto erano grandi le due mule su cui cavalcavano. Portavano occhiali da viaggio e parasole. Dietro di loro veniva una carrozza scortata da quattro o cinque persone a cavallo, e da due mulattieri che andavano a piedi.
Nella carrozza,come poi si seppe, c’era una signora biscaglina che andava a Siviglia, dove si trovava suo marito, diretto alle Indie con un importantissimo incarico. I due frati non erano con lei, benché facessero la medesima strada; ma appena don Chisciotte li scorse, disse al suo scudiero: - O io mi inganno, o questa sarà la più famosa avventura che si sia mai vista; perché quei due neri figuri che si vedono laggiù devono essere, e sono sicuramente, degli incantatori che hanno rapito e portano in quella carrozza una principessa; bisogna dunque che io raddrizzi questo torto con tutte le mie forze.
-Questa sarà peggio dei mulini a vento- disse Sancio-. Badi signore, che quelli son dei monaci benedettini, e la carrozza dev’essere di gente di passaggio. Badi che le dico di guardar bene a quello che fa, che non sia il diavolo che si diverta a ingannarla.
-Ti ho già detto Sancio – rispose don Chisciotte-, che tu te ne intendi poco in materia d’avventure; ciò che io dico è la verità, e ora lo vedrai.
E così dicendo, corse avanti e si mise in mezzo alla strada da cui venivano i frati, e quando furono arrivati così vicini che gli parve che potessero udire le sue parole, disse a voce alta: - Gente diabolica e smisurata, lasciate all’istante le alte principesse che in codesta carrozza portate a forza, o apparecchiatevi a soffrire una morte immediata, a meritato castigo delle vostre ribalderie.
I frati trattennero le briglie e rimasero attoniti, sia per la figura di don Chisciotte che per le cose che diceva, alle quali risposero:
-Signor cavaliere, noi non siamo né diabolici né smisurati: siamo due religiosi di San Benedetto che andiamo per la nostra strada, e non sappiamo se in quella carrozza ci siano o no, principesse portate a forza.
-Con me non attaccano i melliflui discorsi;vi conosco bene, bugiarda canaglia- disse don Chisciotte.
E senza aspettare altra risposta spronò Ronzinante e, con la lancia abbassata, assalì il primo frate con tanta celerità e con tanta furia che se il frate non si fosse lasciato cadere dalla mula, ci avrebbe pensato lui ad atterrarlo, suo malgrado, e magari a ferirlo gravemente, se non addirittura a ucciderlo. L’altro religioso, come vide la sorte toccata al compagno, applicò le gambe a quella specie di castello che aveva per mula e via, a correre per quei campi più veloce del vento.
Visto il frate in terra, Sancio Panza smontò lesto e buttatoglisi sopra, si mise a togliergli gli abiti. Sopraggiunsero a questo punto due servi dei frati e gli domandarono perché lo stava spogliando. Sancio rispose che gli spettava di diritto, come spoglie della battaglia che il suo signor don Chisciotte aveva vinto. I servi che non stavano allo scherzo, e che non capivano nulla di spoglie e di battaglie, vedendo che don Chisciotte s’era distratto di là per andare a parlare con le signore, afferrarono Sancio e lo sbatterono a terra, e senza lasciargli un pelo della barba, lo riempirono di calci e lo lasciarono steso, senza sensi e senza respiro; e il frate non perse un minuto, montò, impaurito e tremante e senza colore in viso, e quando si vide a cavallo, spronò verso il suo compagno che lo stava aspettando in attesa di vedere come andava a finire quel parapiglia. E senza aspettare la fine di quell’avventura che era appena incominciata, continuarono per la loro via, facendosi più croci che se avessero avuto il diavolo alle calcagna.

Dal Capitolo ventinovesimo
Che tratta della brillante trovata e del piano che si seguì per strappare il nostro innamorato cavaliere dalla durissima penitenza che si era imposto.
Potevano aver camminato per tre quarti di lega, quando fra certi accidentati anfratti scoprirono don Chisciotte già vestito, benché non armato. E quando Dorotea lo vide e fu informata da Sancio che quello era don Chisciotte, frustò il palafreno, seguita dal ben barbuto barbiere; e arrivatigli vicino, lo scudiero smontò dalla mula per ricevere tra le braccia Dulcinea, che, smontata con grande sicurezza, andò a mettersi in ginocchi davanti a quelli di don Chisciotte, e benché egli si sforzasse di sollevarla, senza alzarsi ella gli favellò :- Di qui non m’alzerò, o valente e prode cavaliere, finchè la bontà e cortesia vostra non m’abbiano accordato un favore che ridonderà a onore e pregio della vostra persona e in pro della più sconsolata e offesa donzella che il sole abbia visto. Se è che il valore del vostro forte braccio corrisponde al grido della vostra fama immortale, siete tenuto a soccorrere l’infelice che da sì remote terre viene, all’odore del vostro nome famoso, cercandovi per rimedio delle sue sventure.
-Bella signora, non vi risponderò motto-rispose don Chisciotte-, né udrò più nulla del vostro caso, se prima non vi alzerete da terra.
-No che non mi alzerò, signore-rispose l’afflitta donzella-,se prima dalla vostra cortesia non mi verrà accordato il favore che chiedo.
-Io ve l’accordo e concedo –rispose don Chisciotte -, purchè non venga a compiersi a danno e pregiudizio del mio re, della mia patria e di colei che del mio cuore e della mia libertà possiede le chiavi.
-Non sarà né a danno né a pregiudizio di coloro che dite, mio buon signore – replicò la dolente donzella.
E mentre stavano dicendo queste cose, Sancio Panza si avvicinò all’orecchio del suo signore e sottovoce gli disse – La signorìa vostra , signore, può concedere benissimo il favore che chiede, perché si tratta d’una cosa importante: c’è solo da ammazzare un gigantaccio, e questa che glielo chiede è l’alta principessa Micomicona, regina del gande reame Micomicone d’Etiopia.
-Sia chi vuol essere – rispose don Chisciotte-; io farò ciò che son tenuto a fare, e che la mia coscienza mi detta, in conformità con la regola che professo.
E voltosi alla donzella, le disse:
-La vostra alta beltà si alzi pure; che io le concedo il favore che le piacerà chiedermi.
-Allora, ciò che chiedo – disse la donzella - , è che la vostra magnanima persona venga là dove io la condurrò, e mi prometta di non immischiarsi in altre avventure né in domande, finchè non m’avrà dato vendetta d’un traditore che, contro ogni diritto divino ed umano, ha usurpato il mio regno.
-Dichiaro di concederlo in tal forma – rispose don Chisciotte – e perciò fin da oggi, signora, potete abbandonare la tristezza che vi tormenta e dar nuovo spirito e vigore alla vostra affievolita speranza; che, con l’aiuto di Dio e quello del mio braccio, presto vi vedrete restituita al vostro regno e assisa sul trono del vostro antico e grande stato, nonostante e a dispetto dei felloni che osassero opporsi. E mano all’opera, che il pericolo e, a quanto dicono, nell’indugio.
La oppressa donzella cercò con insistenza di baciargli la mano, ma don Chisciotte, che in ogni caso era un cortese e compito cavaliere, non volle permetterlo: anzi la fece alzare e l’abbracciò con grande cortesia e compitezza, e ordinò a Sancio di cingergli immediatamente le armi e di riguardare le cinghie di Ronzinante.

Dal Capitolo quarantanovesimo
In cui si tratta dell’acuto dialogo che Sancio Panza ebbe col suo signore don Chisciotte
(……)
-Ah!- disse Sancio _. Ora l’ho colta . questo è ciò che mi stava a cuore di sapere, come mi sta a cuore la mia anima e la vita mia. E ora dica un po’ signore: può forse negare ciò che comunemente si dice quando c’è qualche persona che non sta bene :”Non so che cosa ci ha il tale, che non mangia, non beve, non dorme, non risponde a tono a quello che gli si domanda, cosicché pare proprio che sia incantato”? Dal che viene a derivare che coloro i quali non mangiano, non dormono, non fanno gli atti naturali che dico io, quelli sono incantati; non così invece quegli altri i quali hanno la voglia che ci hanno la signorìa vostra, e che se gli si dà da bere, devono, e se ci hanno da mangiare, mangiano, e rispondono a tutto quello che gli si domanda.
-Dici il vero Sancio –rispose don Chisciotte - ; ma io ti ho già detto che ci son varie specie d’incantamenti, e potrebbe darsi che fossero mutati col tempo, e che ora usi che gli incantati facciano tutto quello che faccio io, anche se prima non lo facevano. Di modo che, contro l’uso dei tempi, non c’è proprio nulla da eccepire né da trarre illazioni. Io so ed ho per certo d’essere incantato, e questo mi basta per la tranquillità della mia coscienza; e la terrei abbastanza elastica se invece pensassi di non essere incantato e me ne stessi qua in questa gabbia, pigro e codardo, privando del soccorso che potrei dar loro tanti bisognosi e tapini che del mio aiuto e della mia protezione staranno provando in questo medesimo istante un’estrema e assoluta necessità.
-Ciò nondimeno – replicò Sancio -, io dico che per abbondare, e per una piena sicurezza, sarebbe bene che la signorìa vostra facesse la prova di uscire da questo carcere, ciò che io da parte mia mi
impegno di agevolare con tutte le mie forze, e magari di tirarmelo fuori io stesso, e provasse inoltre a montare di nuovo il suo buon Ronzinante, che pare incantato anche lui, tant’è malinconico e triste; e fatto ciò tentassimo nuovamente la sorte, andando in cerca d’altre avventure; e se dovesse andarci male, non ci mancherà il tempo di tornare alla gabbia, nella quale, in parola di buono e leale scudiero, prometto di rinchiudermi anch’io unitamente alla signorìa vostra, se lei dovesse essere così disgraziato, o io così sciocco da non riuscire a cavarmela in ciò che propongo.
-Io, caro Sancio, a quel che proponi ci sto – replicò don Chisciotte -; e quando tu vedrai il momento opportuno per mettere in atto la mia liberazione, t’obbedirò in tutto e per tutto; ma tu, Sancio, vedrai come sei in errore nella valutazione della mia disgrazia.
(…)
Il canonico lo guardava e si stupiva vedendo da una parte la stranezza della sua profonda pazzia e come poi, quando ragionava e rispondeva, dimostrasse di avere una buonissima intelligenza; come altre volte s’è detto, egli perdeva i lumi della ragione soltanto se lo si toccava sulla cavalleria. Perciò, dopo che s’erano tutti seduti sulla verde erba ad attendere le provviste del canonico, questi gli disse, mosso da compassione:
-E’ possibile mai, signor hidalgo, che abbia potuto tanto sulla signorìa vostra la squallida e oziosa lettura dei libri di cavalleria da frastornarle il cervello al punto di farle credere che è incantato, con altre sciocchezze del genere, così lontane dall’esser vere quanto lo è la bugia dalla verità? Com’è possibile che ci sia un intelletto umano che creda per davvero che c’è stata al mondo quella caterva di Amadigi, quella moltitudine di cavalieri famosi, palafreni, damigelle, nani, dragoni e giganti, tante principesse innamorate, tanti corteggiamenti, tante donne guerriere, e finalmente tanti e tanti casi stravaganti quanti ne contengono i libri di cavalleria?
Per me, vi posso dire che, nel leggerli, finchè non mi metto a pensare che son tutte chiacchiere e bubbole, mi danno un po’ di piacere; ma quando mi rendo conto di quello che sono, prendo il migliore di esse e lo scaravento contro il muro, e lo butterei anche nel fuoco se ce l’avessi lì o lì vicino, ben meritandosi tale pena in quanto falsi e imbroglioni, e esorbitanti dai limiti che pone la natura, nonché come inventori di nuove sette e di una nuova maniera di vivere, e per la possibilità che dànno al volgo di credere e di considerar vere le stupidaggini che contengono. E arrivano a tale sfrontatezza da non peritarsi di sconvolgere il cervello di intelligenti e ben nati gentiluomini, come è dato di vedere da ciò che hanno fatto della signorìa vostra, riducendola al punto che si è costretti a rinchiuderla dentro una gabbia e portarla su di un carro di buoi, come che arriva o parte portando di paese in paese un leone o una tigre a farlo vedere per guadagnarci su. Evvia , signor don Chisciotte, abbia pietà di se stesso e torni in grembo al buon senso, e sappia usare di tutto ciò che al cielo è piaciuto di darle, impiegando il felicissimo talento della sua mente in ben altra lettura che torni a maggior utilità della sua coscienza e a un accrescimento del suo onore!
(…)
Don Chisciotte stava a sentire attentissimo gli argomenti del canonico, e quando vide che aveva terminato, rimasto alquanto tempo a fissarlo, disse:
-Mi pare, signor hidalgo, che tutto il ragionamento della signorìa vostra fosse diretto a volermi fare intendere che non ci siano stati al mondo cavalieri erranti, e che tutti i libri cavallereschi siano falsi, bugiardi, nocivi e inutili alla società, e che io ho fatto male a leggerli, e peggio a credervi, e malissimo a imitarli, mettendomi a seguire il durissimo esercizio della cavalleria errante, poiché mi dice che non ci sono mai stati al mondo Amadigi, né di Gaula né di Grecia, né tutti gli altri cavalieri di cui son piene le carte.
-E’ esattamente come lei sta dicendo- disse a questo punto il canonico.
Al che don Chisciotte rispose:
-Lei è andato anche più in là, affermando che quei tali libri mi avevano recato danno, avendomi frastornato il cervello e fatto finire dentro una gabbia, e che sarebbe molto meglio per me se mi
ricredessi e cambiassi genere di lettura, dandomi a quella di libri più veritieri e che svagano e educano molto meglio.
-E’ così – disse il canonico.
-Ebbene io – replicò don Chisciotte -, per mio conto, trovo che chi è più matto e più incantato è lei, perché s’è messo a dire tante bestemmie contro una cosa così riconosciuta da tutti, e accettata per vera, che colui il quale la negasse, come lei la nega, meriterebbe la stessa pena che la signorìa vostra asserisce di riservare a quei libri, quando la loro lettura la irrita. (..) Che se poi è menzogna, allora lo è anche che vi sia stato un Ettore, un Achille e la guerra di Troia (..) ed altre infinite gesta compiute da cavalieri cristiani, di questo come di altri regni stranieri, che son così autentiche e vere, che ripeto, chiunque le negasse, mancherebbe di cervello e di logica.

Dal Capitolo cinquantaduesimo
Della lite che don Chisciotte ebbe col capraio, con la curiosa avventura dei disciplinanti, che portò felicemente a termine col sudore della fronte.
-Dove va signor don Chisciotte? Che demoni ci ha in petto che l’incitano a andar contro la nostra fede cattolica? Badi, accidenti a me, che quella è una processione di disciplinanti, e che quella signora che portano sul piedistallo è l’immagine benedetta della Madonna; guardi quel che fa, signore, che questa volta è proprio il caso di dire che non lo sa.
Quella di Sancio Panza fu fatica sprecata, perché il suo padrone s’era talmente incocciato a raggiungere gli ammantati e a liberare la signora in gramaglie, che non udì parola; e se anche l’avesse udita, non sarebbe tornato indietro, se non fosse stato il Re in persona a ordinarglielo.
Raggiunse dunque la processione e arrestò Ronzinante, che era già punto dal desìo di riposarsi un po’ , e con voce roca e alterata, disse:
-Voi, che forse perché non siete dei buoni vi ricoprite il viso, state attenti e ascoltate quanto ho da dirvi.
I primi a fermarsi furono quelli che portavano l’immagine; e uno de quattro chierici che cantavano le litanie, vedendo la buffa figura di don Chisciotte, la magrezza di Ronzinante e altri particolari ridicoli che notò e scoprì in don Chisciotte, gli rispose dicendo:
-Caro signore, se vuol dirci qualcosa, la dica subito, perché questi fratelli si stanno lacerando le carni, e non è possibile, e nemmeno logico, che ci fermiamo a sentire qualsiasi cosa, a meno che non sia così breve che possa dirsi in due parole.
-La dirò in una sola – replicò don Chisciotte-, ed è questa: che sull’istante lasciate libera questa bella signora, le cui lacrime e la triste sembianza sono indizi evidenti che la portate contro la sua volontà e che dovete averle fatto qualche pubblico affronto; ed io che nacqui al mondo per disfare simili offese, non consentirò che faccia un solo passo avanti senza averle dato la desiata libertà che si merita.
Da tutti questi discorsi tutti quelli che li avevano ascoltati si resero conto che don Chisciotte doveva essere toccato di cervello e si misero a ridere di cuore; e quelle risate furono la miccia per la collera di don Chisciotte, che senza più dire una parola, estratta la spada, attaccò la portantina. Uno di quelli che la portavano, lasciando il carico ai suoi compagni, uscì incontro a don Chisciotte, inalberando una forca o palo con cui puntellava la portantina quando si riposava; e avendo ricevuto sul palo un gran fendente di don Chisciotte che lo fece in due, con il troncone che gli rimase in mano assestò a don Chisciotte un tale colpo su un omero, dalla parte della spada, che non valse a coprirlo con lo scudo da quella forza villana, per cui crollò al suolo malconcio il povero don Chisciotte. (…) Sancio altro non fece che gettarsi sul corpo del suo signore, facendovi sopra i più tristi e i più buffi pianti del mondo, credendo che fosse morto.

Libro secondo

Dal Capitolo diciassettesimo
Dove si mostra il punto più alto, l’apice a cui arrivò e potè arrivare l’inaudito coraggio di don Chisciotte, con l’avventura, felicemente conclusa, dei leoni.
(…) In tutto questo tempo don Diego de Mirando diceva tra sé e sé “ Ci può essere una pazzia più grande che mettersi in capo la celata piena di ricotte e credere che gli incantatori volessero rammollirgli la testa? E che temerità, che follia più grande che voler per forza combattere coi leoni?” Da queste congetture lo tolse don Chisciotte, dicendogli:
-Chi potrebbe dubitare signor Diego De Mirando che la signorìa vostra mi abbia in concetto di stravagante e di pazzo? E non ci sarebbe da stupirsi se così fosse, perché le mie azioni non possono testimoniare altra cosa. Ma con tutto ciò, voglio che la signorìa vostra si renda conto che non sono così pazzo né così insensato come debbo esserle parso. Certo è bello vedere il forte cavaliere che sotto gli occhi del suo re, in mezzo a una gran piazza, dà un bel colpo di lancia a un bel toro animoso; è bello vedere un cavaliere, coperto di fulgenti armi, percorrere la lizza nelle frivole giostre davanti alle dame, (…) , ma assai più bello è vedere il cavaliere errante per deserti, per luoghi solitari, crocicchi, selve e monti va cercando pericolose avventure, per dar loro felice e favorevole compimento;(..) Tutti cavalieri hanno la loro specifica funzione:quello di corte serva le dame; dia lustro con le sue livree alla corte del suo re (…) ; ma il cavaliere errante esplori ogni angolo del mondo; penetri nei più intricati labirinti, affronti ad ogni passo l’impossibile; soffra nelle località disabitate gli ardenti raggi del sole in piena estate, e nell’inverno la dura inclemenza dei venti e dei geli; non gli facciano paura i leoni, non lo spaventino i mostri, che esplorare, affrontare e vincer tutto sono la sua vera ed essenziale funzione: perciò l’affrontare i leoni che ora ho affrontato mi competeva, benché sapessi che era eccessivamente temerario; ma so bene anche che cos’è il coraggio, che è una virtù collocata tra due punti morti, che sono la viltà e la temerità; ma per colui che è valoroso è preferibile mantenersi in alto e sfiorare il livello di temerario, anziché troppo in basso e sfiorare quello di vile; perché, così com’è più facile che diventi generoso il prodigo e non l’avaro, è più facile al temerario diventare un vero coraggioso che non il vile innalzarsi al vero valore; e in quanto a affrontare avventure, mi creda, signor don Diego, che si deve piuttosto perdere per una carta troppo alta anziché per una troppo bassa, perché suona assai meglio agli orecchi di chi ascolta :”Il tale cavaliere è audace e temerario” che non:”Il tale cavaliere è timido e vigliacco”
-Io dico signor don Chisciotte – rispose don Diego – che tutto ciò che ha detto e fatto la signorìa vostra è in perfetto equilibrio sulla bilancia della medesima logica, e son convinto che se gli ordinamenti e le leggi della cavalleria errante dovessero andar perduti, li si potrebbe ritrovare nel cuore della signorìa vostra, come nel loro naturale deposito e archivio. E ora affrettiamoci, che si fa tardi, e arriviamo presto al mio villaggio e alla mia casa, dove potrà riposarsi della passata fatica, che se non lo è stata del corpo, lo è stata dello spirito, ciò che suole spesso ripercuotersi in una stanchezza del corpo.